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Cargo 200
Dramma diretto da Balabanov Aleksej
2007 - STV
É la vigilia della Perestrojka. Uscita dalla discoteca, la figlia del Segretario del Comitato Regionale del Partito scompare. Dall'altra parte della città, viene commesso un brutale omicidio.
Contesto storico e sociale
Il titolo del film fa riferimento al nome dei voli degli aerei militari che trasportavano in patria dall'Afghanistan, le salme dei soldati sovietici caduti, all'interno di bare di zinco, riposte a loro volta in casse di legno. 200 era il numero massimo di casse e quindi di salme trasportabili dall'aereo per viaggio.
"Un film devastante, disturbante e tragico nella sua descrizione impietosa dell’Unione Sovietica durante il comunismo, una critica che Balabanov aveva già esteso alla Russia degli anni novanta (le tensioni etniche e l’ascesa della mafia nel notevole “Il fratello”, opera che ha avuto un sequel nel 2000). Lo sguardo antropologico di “Cargo 200” non offre speranza: il film è un buco nero che risucchia ogni cosa, anche una flebile parvenza di umanità qui perde tutto il suo significato. Ci troviamo al cospetto di una pellicola tra le più deprimenti uscite in Russia nel corso del nuovo millennio, un lavoro che affonda le sue unghie dentro un sadismo folle e inconsapevole, mostrando una cattiveria impensabile persino nel cinema horror più becero."
Curiosità e riconoscimenti
Il film, che si basa su una storia vera, è stato escluso sia dal Festival di Cannes, sia dal Festival di Berlino, a causa del suo contenuto crudo e a tratti macabro con cui il regista ha voluto mostrare il lato negativo della società sovietica.
Ritratto impietoso della fine di un'epoca con il conseguente degrado collettivo sociale e umano. Imperdibile per chi è interessato alla storia moderna.
Da brividi.
Sottotitolo ideale di Cargo 200 di Aleksej Balabanov potrebbe essere la notte brava dell’Unione Sovietica. Perché in una notte i destini di Artem, professore di ateismo scientifico, di Aleksej, dei giovanissimi Valera e Angelika e del capitano Zhurov si intrecciano ritraendo una fotografia spietata dell’era pre Gorbaciov. Siamo nel 1984 e dalle immagini televisive capiamo che il decrepito Cernenko è il segretario del Pcus. Discussioni filosofiche scandite da fiumi di vodka, l’oppio dei popoli russi fanno da teatro alla primissima parte, quando Artem a causa della Trabant in panne si ferma in un casolare abitato da generosi abitanti del popolo ma che di lì a poco interpreteranno la fine di un’era.
Sullo sfondo le conseguenze della fallimentare invasione dell’Afghanistan (citata nel titolo), “Cargo 200” è opera ritratto di un Paese marcio, a partire dai suoi piccoli rappresentanti (il cinico e mostruoso Zhurov in testa) fino alle nuove leve insensibili e proiettate verso il dio denaro facile, altro che ideologie. Le canzoni pop degli autoctoni Ariel (In the land of magnolias) e Kino (We have time, but no money) fanno da contrappunto descrittivo grottesco di alcune scene.
Artem, sconvolto dagli avvenimenti del quale è stato solo lambito si rifugerà in una chiesa, alla ricerca di un rito, il sacramento del battesimo. Aleksej che sogna La città del sole di Tommaso Campanella morirà vittima e vendetta di un sistema. La moglie lo vendicherà ma senza un briciolo di umanità per la scioccata e smarrita Angelika. Valera con maglietta iconica un figlio futuro del riformismo consumistico, di necessità bisogna fare virtù. La madre di Zhurov è l’emblema di un popolo inebetito dall’alcol (costante compagno di vita di chiunque) e da un mondo finto trasmesso da un maxi televisore dal tubo catodico a cielo aperto, metafora di una nazione dagli scheletri non più chiusi in un armadio. Paesaggi industriali grigi e inospitali. Interni domestici dimessi e logori. Del popolo spogliato di ogni ideale, saturato e violentato, non resta che un putrido cadavere con tante mosche attorno.
Ottima prova di Balabanov, autore russo ossessionato dal racconto della fine, da riscoprire ora che non c’è più.